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Perché di un report

I sinistri di “ordinaria amministrazione”

Quasi 8000 navi entrate e uscite in un anno nel solo porto di Genova, con una media giornaliera di 45 manovre. Ordinaria amministrazione di un porto, ma anche dell’intera portualità italiana, che, come qualsiasi infrastruttura di trasporto si trova quotidianamente a fare i conti con una parallela crescita nei volumi di traffico e nella dimensione dei mezzi di trasporto; crescita che non è stata assecondata, e probabilmente non sarebbe mai potuto esserlo, almeno nella tempistica, da una speculare crescita delle infrastrutture portuali stesse e specialmente degli specchi acquei nei quali ogni giorno centinaia di navi si incrociano, accostano alle banchine, lasciano gli ormeggi per riprendere il loro viaggio.

 

Fra i porti e le altre infrastrutture di trasporto esiste tuttavia una differenza sostanziale e una penalizzazione di base che non può essere considerata una patologia. Mentre di un autostrada si può sempre pensare e costruire una terza corsia, di una ferrovia un percorso alternativo che consenta di assecondare la domanda di alta velocità, i porti italiani, ma anche grandi porti europei (forse con la sola eccezione di quelli realizzati sugli estuari fluviali in Nord Europa) scontano le loro origini storiche; nati come empori, all’ombra e a diretto contatto con tessuti urbani, hanno trovato e trovano limiti spesso insuperabili sulla strada di un adeguamento strutturale e in particolare di quelle aree di manovra per le navi che oggi sono sotto ulteriore pressione a causa della rapida entrata in servizio di navi sempre più grandi. E ciò accade anche per bacini portuali di costruzione più recente che comunque sono stati pensati, ideati, progettati, almeno due decenni addietro e che, con i tempi di realizzazione delle infrastrutture in Italia, nascono comunque già vecchi.

 

Porti-città o porti storici – come a più riprese sono stati definiti- sono stati progettati e costruiti per navi infinitamente più piccole di quelle attuali (un veliero o un piroscafo a vapore raramente raggiungeva i 100 metri di lunghezza mentre le portacontainer dell’ultima generazione superano i 400 metri), e per volumi di traffici (Genova nel 1960 movimentava 20 milioni di tonnellate, contro gli oltre 60 milioni attuali) assai più modesti.

 

Se si riveleranno fondate le previsioni, formulate dall’Unione Europea, a proposito di una espansione di traffico di oltre il 50% al 2030, rispetto ai 3,7 miliardi di tonnellate di merci che movimenta oggi il sistema portuale europeo, per i 320 porti strategici della Ue si porranno non pochi problemi operativi.

 

Ma lo sforzo è pienamente giustificato. Anche se con colpevole ritardo l’Unione Europea, e gran parte degli Stati membri, hanno scoperto che le attività di trasporto marittimo sono strategiche per lo sviluppo dell’intero continente e che la Blue Economy dovrà diventare la chiave di lettura prioritaria di questo sviluppo: già oggi il 74% delle merci provenienti da paesi terzi transita da essi e i porti sono nodi chiave anche per gli scambi all’interno dell’UE; attraverso le loro banchine transita ogni anno il 37% del traffico merci intra-UE e 385 milioni di passeggeri. In alcuni casi, ad esempio nei Paesi Bassi, il contributo totale delle attività portuali al PIL può raggiungere il 3% dell’attività economica complessiva.
E’ vero; questa funzione strategica si concretizza in nodi del trasporto, per l’appunto gli scali marittimi commerciali, a spazi limitati. Ma difficilmente queste infrastrutture e questi spazi potranno essere significativamente ampliati. L’Unione europea, in un recente documento, sembra averne assunto piena consapevolezza: la capacità dei porti e specialmente delle aree retro-portuali di rispondere alla domanda di servizio delle navi giganti per il trasporto container rappresenta uno dei grandi interrogativi probabilmente senza risposta per l’intera portualità mondiale; tanto è che, in una proiezione solo apparentemente paradossale, si ipotizza per lo sbarco di una di queste navi, una coda ininterrotta di camion da Rotterdam a Parigi. Prova ne è che già oggi gli attrezzatissimi porti del Nord Europa denunciano da mesi un congestionamento costante di strade, autostrade e ferrovie e quindi di quel sistema logistico che ha decretato il loro successo. Già una quindicina di navi giganti ha messo a nudo l’inadeguatezza dei canali di accesso ai terminal, arenandosi sui fondali sabbiosi e richiedendo interventi e procedure straordinarie per riprendere il mare.

 

Ma ciò che in altri settori del trasporto potrebbe essere considerato straordinario, nei porti rientra spesso nell’ordinaria amministrazione. Ed è in questa ottica che anche un habitat apparentemente inadeguato ad affrontare le nuove sfide, diventa comunque in grado di fornire servizi. Ed è anche per questo che in questo specifico habitat, esattamente come accade in una grande autostrada perennemente sotto pressione del traffico camionistico, piccoli incidenti diventano ordinari.

Porto di Olbia. Collisione tra due mercantili.

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Isola d’Elba. Traghetto contro banchina di Porto Ferraio.

Ketchikan – Alaska. Celebrity Infinity contro il molo del porto.

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